(Ungaretti spiega la poesia de Il Porto sepolto)
Questo disgregarsi dell'armonia classica, delle sue regole sinfoniche, del crescente interesse dei compositori nel suono in sè, come materia stessa della loro arte, trova un corrispettivo molto interessante nella 'scarnificazione' della poesia operata, negli anni venti, dal poeta italiano Giuseppe Ungaretti: la prima fase della sua poesia (Il Porto Sepolto), infatti, risente dell'influenza della poesia simbolista francese, soprattutto di Stéphane Mallarmè.
Il poeta simbolista è un veggente che si immerge nell'abisso di una realtà sotterranea, dimensione di sogno e visione, foresta di simboli e segrete corrispondenze che vanno al di là della logica, al di là dell'esperienza empirica. La poesia si serve ora di un linguaggio evocativo, che deve illuminare, non mostrare: e la parola inizia ad assumere, come singola entità, un valore musicale e simbolico, ricercata più per il suo significante che per il suo significato. Tutto questo, ereditato da Ungaretti, diviene parte della sua ricerca poetica: il suo sforzo è quello di isolare, esaltare la singola parola, nei suoi valori di sonorità e ritmo, e intensità emotiva. In Il Porto Sepolto, raccolta che già metaforicamente rappresenta tutto ciò che non si palesa, che resta segreto e indecifrabile all'essere umano, la parola vuole essere ritrovata, scavata, rivelata, deve riacquistare il suo valore puro e innocente, deve essere quel balenìo che evoca la realtà sotterranea. La poesia si fa ricca di analogie, ci costringe ad associazioni difficili e non razionali. A livello formale, scompare la punteggiatura e cade a metrica. Questo costante processo di riduzione e semplificazione porta alla composizione di poesie brevi, spesso persino di una sola parola (prevale la valenza evocativa), proprio perchè è la parola ad essere il centro di tutto.
Esempio:
LA MATTINA
(Santa Maria la Longa il 26 gennaio 1917)
M’illumino
d’immenso.
Lo stesso Ungaretti affrontò diverse traduzioni di poesie di Mallarmè, tra cui una, L'Apres midì d'un faun, fu musicata da Claude Debussy, e ripropone in campo musicale alcune delle istanze poetiche di Mallarmè. Come questi, infatti, Debussy carica i suoi motivi di una musicalità intrinseca, in cui il suono ha praticamente valore per sé stesso, anche grazie all'avvolgente strumentazione che sapientemente riesce a evocare atmosfere che si trovano al di là del mondo fenomenico, che cercano di penetrare nella profondità e nel mistero dell'esperienza umana.