La ‘democrazia’ delle dodici note, insieme alla scoperta della dissonanza, che Schonberg stava mettendo in atto, furono gli elementi che affascinarono un altro personaggio fondamentale per la musica moderna, Igor Stravinskij.
Sarà con la Sagra della Primavera, nel 1913, Stravinskij distrusse definitivamente ogni aspettativa di ‘come’ doveva essere costruita la musica: prima di tutto ignorò gli archi, che lui riteneva troppo simili alla voce umana, mentre lui voleva una sinfonia dove non ci fosse nessuno, solo il suono della musica di fronte alla nascita della bellezza. Stravinskij ottenne quest’effetto non concedendo nulla al suo pubblico: ne sfigurò le traduzioni e ne distrusse le illusioni. Gli spettatori prima credevano che la bellezza fosse immutabile, che alcuni accordi fossero più piacevoli di altri, ma Stravinskij sapeva come stavano le cose. Modernista per istinto, capì che il nostro senso della bellezza è malleabile, e che le armonie che veneriamo e gli accordi di tonica a cui ci affidiamo non sono sacri. Niente è sacro. La natura è rumore. La musica è soltanto un frammento sonoro che abbiamo imparato ad ascoltare.
La musica di Stravinskij voleva essere una totale violazione: al pubblico che pensava che la musica fosse un insieme di accordi consonanti suonati su un tempo ben definito, Stravinskij oppose la tensione: la musica è interessante quando ci provoca tensione,e la fonte della tensione è il conflitto: La sua geniale intuizione fu che il pubblico in realtà voleva vedersi rifiutare ciò che desiderava: La sagra esprime proprio questa filosofia antagonista: egli anticipa le previsioni del pubblico e le contraddice una ad una: prese un tipico canto di primavera e creò arte al suo opposto: non c’è dissonanza che si sottometta alla consonanza, non c’è ordine che sconfigge il disordine, ma una tensione che non viene mai risolta. Il cervello è frustrato: si immedesima nella violenta danza sacrificale sul palcoscenico. Perché? perché la musica comincia dalla nostra predilezione per gli schemi, ma l’emozione musicale nasce quando lo schema che ci siamo immaginati inizia a crollare: e la sagra è un unico, lungo, crollo: Stravinskij inventa nuovi schemi musicali, introduce frammenti di canzoni popolari, poi li distrugge con pennellate cromatiche, sbeffeggia con cinismo il classicismo. Stravinskij ci obbliga ad affrontare che abbiamo delle aspettative, che la mente anticipa certi tipi di ordine: ma nella sagra queste aspettative non servono a nulla, non sappiamo che nota verrà dopo.
La musica di Stravinsky è anche un grande concentrato di ripresa delle tradizioni musicali popolari, il cui ruolo viene subordinato allo stravolgimento del suono nell’opera: basti pensare alla sua Petruska, in cui Stravinskij decise di tormentare il pubblico offrendogli una razione eccessiva di tonalità; per Petruska, il compositore scelse due vecchie melodie popolari, le stravolse, spezzettandole, confondendole, e le mise una contro l’altra, come pupazzi caricati a molla. La musica è bitonale, si svolge in due tonalità, simultaneamente. Il risultato è un’ambiguità irrisolta: l’orecchio deve scegliere cosa sentire.
A questo proposito è interessante affrontare il rapporto di amicizia tra il compositore e il poeta americano Thomas Eliot.
