La legge della dialettica tra Schonberg e Stravinskij
Un’interessante collocazione del ruolo di questi due autori all’interno del panorama della musica del Novecento è stata affrontata, agli inizi degli anni Quaranta, dal filosofo Theodore Adorno ne ‘La filosofia della musica moderna’.
Il pensiero di Adorno deve essere attentamente analizzando alla luce delle teorie critiche della società che la Scuola di Francoforte andava elaborando in quel periodo: la centralità del pensiero del filosofo tedesco risiede indubitabilmente nell’aver elaborato il primo e più originale tentativo di formulare i caratteri della crisi dei linguaggi artistici del Novecento e aver posto al centro del dibattito estetico e filosofico le ragioni di tale crisi in rapporto alla comprensione e al significato stesso dell’arte nella società capitalistica.
Nella società di oggi, in cui anche l’attività intellettuale rischia di essere completamente dominata e sommersa dai rapporti economico-sociali, in cui l’individuo è alienato perché la società industriale e capitalistica ha soffocato l’autonomia e la libera creatività, producendo una standardizzazione sempre crescente che ha coinvolto la stessa arte degradandola a prodotto commerciale, soggetto alle leggi del mercato, in una società siffatta, anche la musica rischia di diventare merce, di essere dissacrata, di perdere il suo carattere di verità per ridursi a puro gioco.
Adorno, nella sua nostalgia di un passato irrecuperabile, di un ideale di uomo integrato nella società in cui la musica assolveva ad una funzione espressiva ed equilibratrice e non si era ancora trasformata in prodotto per la massa, immagine dell’alienazione umana e della pietrificazione dei rapporti, concepisce solo due strade possibili per la musica, che vede simbolicamente impersonate in Schonberg e in Strawinsky, i due poli diametralmente opposti nel mondo musicale contemporaneo.
Alla luce della dialettica hegeliana, e dunque partendo dal fatto che il materiale musicale è il risultato di differenti dimensioni storiche che si sono sovrapposte (ovvero le sovrastrutture ideologiche del mondo storico sociale), entro un determinato campo di esperienza, Schonberg e Strawinskij sono due fattori di reazione: ma Schonberg agisce all’interno della crisi, la spezza mediante il movimento negativo contro il suo negativo: è quindi un continuatore, non un rivoluzionario. Schonberg rappresenta il radicalismo moderno più impegnato, capace di affermare, nella crisi della civiltà contemporanea, la sola voce umana realmente progressiva, costituendo un sistema di dominio sulla natura che risolve l’essenza magica della musica in razionalità umana. Di fronte alla saturazione del linguaggio musicale, Strawinsky si pone invece il compito di ricostruire la musica nella sua autenticità. E’ il rovesciamento dialettico di Schonberg.
Infatti, la prospettiva aperta da Stravinskij appare più disincantata e, certo, più libera nonché ricca di implicazioni rispetto alla severità della strada intrapresa da Schönberg e dalla sua scuola, ma il prezzo che paga non può essere altro che la perdita del suo contenuto di autenticità: Stravinskij mette in crisi tutte le categorie che fanno della musica un’arte soggettiva privilegiando esclusivamente, sul piano compositivo, il solo aspetto formale, mentre su quello della recezione, la percezione immediata. Se considerata soltanto per il suo carattere oggettivo e tecnicistico, la musica di Stravinskij toglie qualsiasi possibilità al soggetto di rivendicare quel poco di umanità che gli viene concessa dal mondo amministrato e che, sola, giustifica ancora l’esistenza della musica come arte.
Se l’angoscia è implicita nella musica di Strawinsky per il suo carattere di supina acquiescenza a questo mondo, nella musica di Schonberg è dunque l’unica via dell’autenticità per la musica. Nella costruzione dodecafonica volutamente il compositore si costringe entro i limiti di una costruzione immanente, negandosi quella libertà che ormai non può più avere. Ma nello stesso tempo, nella rivolta alla tonalità, al linguaggio tradizionale, salva la soggettività, salva la musica dal cadere al rango di prodotto di massa standardizzato.
Il principio della negazione determinata di derivazione hegeliana, si è dimostrato fino a prova contraria una delle più felici chiavi di lettura per interpretare la rivoluzione dello statuto ontologico dell’arte avvenuta nella prima metà del Novecento e la conseguente frattura tra la produzione musicale e la sua recezione. La distanza sempre più profonda tra compositori e pubblico viene letta come esemplificazione della situazione storico-sociale contemporanea rispetto alla quale solo la produzione artistica più consapevole, e in particolare proprio la musica, possiede la forza di pervenire ad un superiore livello di comprensione e di critica. Il dramma di tale distanza viene interpretato come condizione necessaria per difendere l’autenticità e l’identità del fare artistico. Dunque, quanto più il linguaggio si allontana dalle convenzioni e si sottrae alla reificazione (oggi diremo alla "globalizzazione"), tanto più rivendica, attraverso questa lacerazione, la sua ragion d’essere.
L’incidenza della dialettica adorniana - una dialettica "negativa" che, per definizione, rinvia ad oltranza di risolvere nella "sintesi" hegeliana - deve essere vista proprio in questa prospettiva di continuo ribaltamento e messa in discussione di ogni determinazione ed è dunque ancora oggi, in virtù del suo carattere utopico e aperto ad infiniti sviluppi, attualissimo strumento per comprendere la molteplicità dei linguaggi artistici contemporanei, a patto che lo si voglia interpretare al di là degli schemi rigidi che spesso impone e al di là della prosa apparentemente dogmatica del suo autore.
